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Donazioni e 5 × 1000

Una struttura di queste dimensioni ha la necessità di avere a disposizione ingenti somme per poter funzionare. Il bilancio annuo ammonta a circa 750/800.000 Euro. La Missione della Consolata provvede con un terzo ai fondi necessari, un altro terzo arriva dalle prestazioni mediche dell’ospedale ed infine un terzo dalle donazioni di benefattori. Se pensiamo per un momento che un bambino per il ricovero paga l’equivalente di un Euro al giorno ed un adulto 2 Euro è facile fare il conto di quante persone sono curate ogni anno. Bisogna considerare però che pagano soltanto quelli che possono permetterselo, per gli indigenti è gratuito. È facile comprendere che l’ospedale ha estrema necessità di reperire fondi per funzionare.  LE DIFFICOLTA’  Le difficoltà incontrate per la realizzazione di quest’opera umanitaria, sono state immense. Soltanto chi conosce l’Africa può immaginare di cosa sto parlando. Ho già accennato all’ostruzionismo delle autorità governative, ma non solo, pensate di costruire una piccola città in un’area dove non c’è nulla, assolutamente nulla. Perfino le strade sono un optional. Il reperimento dei materiali da costruzione, le attrezzature, e poi insegnare ai locali a fare cose alle quali non sono abituati, le difficoltà della lingua, difficoltà di comunicazione con il mondo civile. Tutto ciò per iniziare. Quando l’ospedale ha potuto dare il via a dispensare le cure, si sono prospettati problemi di altra natura. In primo piano la diffidenza, poi la differente cultura della popolazione, gli uomini e gli anziani dei villaggi che hanno un grande potere, gli uomini della ‘medicina locale’, ‘mganga’ (stregoni), i quali avrebbero perso il loro potere. Questi ultimi sono stati l’ostacolo più grande, che ancora esiste. Continuano a somministrare i loro intrugli che spesso creano più danni del male che vogliono curare. Tra le tante difficoltà, un fatto positivo. Per un fattore culturale della popolazione locale, la piaga dell’AIDS non è così diffusa come nel resto del Paese. La mortalità per questa malattia è quindi molto bassa, 5-6 decessi al mese. Tutto questo è WAMBA.  Sono le ore 16,00 e iniziamo visitando la sala parto e relativo nido. Sono presenti sei nuovi nati. Il Dott. Prandoni ci informa che le sale parto sono due ed hanno quattro incubatrici. Hanno mediamente 45-50 parti al mese. Tutte le sezioni visitate mostrano un grado di ordine e pulizia ai massimi livelli. Anche il personale paramedico, tutto africano, con le divise e i camici immacolati, mostra capacità ed efficienza. Nell’ospedale sono in attività cinque sale operatorie, comprese le due sale parto, una per il pronto soccorso e la sala gessi, le altre per interventi di alta chirurgia.  Camminando nei viali dell’ospedale per trasferirci da un reparto all’altro non posso fare a meno di pensare allo sforzo effettuato per ottenere risultati di questo livello. In Africa tutto è più difficile da conseguire. Si incontrano difficoltà di ogni genere, le autorità locali, nella loro miopia, intralciano operazioni umanitarie come questa in tutti i modi, perfino facendo pagare le tasse d’importazione sui medicinali che arrivano dall’Italia e che saranno poi distribuiti alle popolazioni locali e usati per curare i malati. Ottenere risultati di questa entità in una zona che, come ho detto prima, è in mezzo al nulla più assoluto, richiede uomini dalle capacità eccezionali. Testardi, tenaci e che credono fermamente in quello che fanno. Il Dott. Prandoni è uno di questi.  Come accennavo prima sulle difficoltà create dal governo locale, queste non davano il permesso per la costruzione di un ospedale. Per capire la gravità di un diniego di questo genere, bisogna visitare queste zone o quanto meno conoscere l’Africa. Questa gente, mi riferisco alle etnie locali, non aveva nulla, ripeto nulla. Quando si ammalavano dovevano rivolgersi agli stregoni locali, che spesso con i loro intrugli acceleravano la morte del paziente. L’ospedale più vicino si trovava a centinaia di kilometri di distanza e non ci sono mezzi di trasporto, se non qualche raro camion disposto a concedere un passaggio. Per arrivare quindi in un ospedale governativo dove io non porterei a curare neanche il mio cane!  L’ambulatorio per la prima visita riceve giornalmente 150-200 malati, spesso con punte di oltre 300. I medici specializzati che prestano la loro opera sono italiani. Professionisti che una volta l’anno o anche più, arrivano a Wamba, prestano la loro opera gratuitamente per due o tre settimane e poi ripartono. Uomini eccezionali anche questi, che per modestia non vogliono far sapere i loro nomi. Durante la mia permanenza a Wamba ho avuto l’opportunità di conoscere un grande Professore di Milano, due dentisti, una biologa, quattro tecnici elettronici, un ingegnere e un esperto di impianti elettrici.  Nel corso della mia visita sono rimasto colpito dall’igiene dei reparti, ma soprattutto dall’atmosfera distesa e serena che vi si respirava. Ogni cosa era perfetta. Il personale addetto si muoveva con grazia ed efficienza, i malati trattati con cura e dedizione.  Al momento del commiato il Dott. Prandoni ci ha rivolto queste parole:  Molti anni fa sono arrivato a Wamba. Allora non c’era che deserto, deserto e povertà. Grazie ai Missionari della Consolata, contro tutte le avversità di un territorio arido e nemico è nato il Catholic Hospital di Wamba. Da allora il cammino è stato lungo: i 20 letti sono oggi 200 e l’Ospedale con le sue sale operatorie, il DAY HOSPITAL, le SCUOLE INFERMIERE e il CENTRO OFTALMICO offre un servizio insostituibile a tutto il Nord del Kenya. Nel 1975 è nata l’Associazione Amici di Wamba che provvede all’invio non solo di denaro ma anche di tecnici, infermieri, medici e volontari. Attualmente l’ospedale vive grazie all’aiuto della Diocesi e alla generosità degli Amici. Diventa nostro amico e aiutaci a non interrompere questo filo di solidarietà.

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